Dolci tipici della tradizione calabrese: le Cuzzupe calabresi

Le Cuzzupe calabresi sono dolci tipici della cucina regionale decorati con uova sode, confettini e codette colorate preparati in casa il giovedì santo e consumati durante il giorno di Pasqua…

7 Minuti di lettura

Gli uomini di una cultura, grazie al loro modo di conoscenza, producono la cultura che produce il loro modo di conoscenza (Edgar Morin).

Una subcultura?

Dick Hebdige, raffinato teorico e sociologo britannico tra i principali teorici delle subculture (secondo cui i membri di una subcultura spesso usano differenziarsi dal resto della società con stili di vita in genere simbolici e comunque alternativi a quelli dominanti), ci ricorda come in occidente la cultura popolare non è né marginale e né sotterranea. Anzi, nella maggior parte delle occasioni, e per la maggior parte della gente, è la cultura popolare a essere la cultura.

Ora, ammesso che gli stili di vita da alcuni definiti dominanti siano veramente dominanti, ci sono posti, places, dove questa dicotomia si dilata, si confonde per assumere un senso diverso. Nel senso che la cultura da alcuni definita subcultura è dominante e quella che per gli stessi è dominante è qui solo marginalmente presente. Come in molti posti della Calabria, per esempio.

E allora, in questi posti si sovverte anche il concetto di alterità cioè, chi e cosa è veramente altro? Altro da chi e da cosa? E probabilmente, questa, è una semplice conseguenza dell’angolazione prospettica dello sguardo. E’ un posizionamento, il posizionamento di chi guarda cosa e soprattutto da dove guarda cosa.

Elementi culturali

Bene, questo sguardo prospettico ci dice che prima di tutto dovremmo intenderci sul concetto di cultura popolare. Che equivale a dire che ci sono comunità portatrici di specifici elementi culturali, ed equivale a dire che questi specifici elementi culturali potrebbero addirittura essere dominanti presso queste comunità. In secondo, dovremmo posizionarci nel luogo più comodo per angolare al meglio il nostro sguardo. Da qui vedere quello che abbiamo sempre visto sforzandoci di vederlo come se non lo avessimo mai visto, come se lo vedessimo per la prima volta, alleandoci con il popolo.

Un inciso, una delle magie degli elementi culturali immateriali, della tradizione, della cultura tradizionale popolare, e in generale di ogni performance, è esattamente la condizione volatile. Detto altrimenti gli elementi culturali immateriali sono identici e mutevoli.

Vedi pure, qualsiasi elemento di una cultura tradizionale conserva sempre il suo carattere di la prima volta, anche nel suo perpetuo ripetersi. E questo perché, benché possa sembrare identico al suo antecedente, qualsiasi elemento culturale è qualcosa di completamente nuovo. Muta, si adatta, cambia, si ripete per la prima volta… esattamene come la preparazione e il consumo rituale delle Cuzzupe calabresi.

Un breve salto nel passato

Per capire di cosa stiamo parlando, e soprattutto per solleticare il nostro primo vedere, dobbiamo ricordare un passato, comunque non troppo lontano ma in bianco e nero. In questo passato, specie se si viveva presso piccoli paesi dell’entroterra calabrese (territorio di per se difficile da attraversare), l’economia era più o meno di sussistenza. E allora, i nuclei familiari producevano soprattutto per il proprio fabbisogno con una conseguente quasi coincidenza tra comunità di produzione e comunità di consumo.

Così, attraversando questo passato, durante il periodo di Pasqua, e precisamente il giovedì santo, molte donne anziane e meno anziane nell’intimità della propria casa per tradizione preparano le Cuzzupe.

Un altro inciso, il giovedì santo è il giorno della Messa in Coena Domini, la messa che inaugura il triduo pasquale a partire dal tardo pomeriggio o dalla sera. Si tratta della rievocazione dell’ultima cena con la lavanda dei piedi, simbolo di ospitalità nel mondo antico, e in questa Messa non c’è congedo, l’assemblea dei fedeli si scioglie in silenzio…

E ancora, per la tradizione cattolica, il giovedì santo è un giorno funesto, drammatico, è il giorno dell’assenza, è il giorno del tradimento. Gesù sarà tradito, arrestato e in carcere rimarrà solo, allora il suo popolo da quel tempo e in qualche modo ha elaborato usi e costumi diciamo per tenergli compagnia, preparando le Cuzzupe calabresi per esempio.

Le Cuzzupe calabresi

Bene, già sappiamo che le Cuzzupe calabresi sono dolci rituali. Preziosi dolci della cucina regionale decorati con uova sode, confettini, codette colorate e preparati in casa il giovedì santo per essere consumati durante il giorno di Pasqua. E il plurale è d’obbligo.

Il plurale è d’obbligo perché da quel passato ancora oggi in molti posti della Calabria le donne il giovedì santo preparano diverse Cuzzupe. Cuzzupe che custodivano e ancora custodiscono una pluralità di denominazioni dialettali, di ruoli rituali, di motivi magico-religiosi, di funzioni simboliche e anche sociali.

E allora Tortani, Ninni, Vuta, Cozzupa, Pizzatola, Cudduraci, Gute, Sgute, Ngute, Aggute, Cuiuri, Cucculi, Cuculi. Tutte Cuzzupe calabresi che in alcuni posti erano consumate la mattina di Pasqua insieme alla frittata di asparagi. In altri dopo il pranzo pasquale. In altri il lunedì dell’angelo e in altri ancora dovevano essere donate dalla fidanzata al proprio uomo o dalla suocera al genero. E ancora oggi dolci rituali da consumare in famiglia la domenica di Pasqua e anche nei giorni successivi. Da donare a parenti, vicini di casa, amici o da offrire alle famiglie che hanno subito un lutto e perché no, anche da spedire a parenti o compaesani emigrati.

Ma soprattutto, in questa pluralità, ovunque nella nostra regione le Cuzzupe calabresi sono torte pasquali o morbidi biscotti modellati da sapienti gesti manuali. Sapienti gesti che magicamente conferiscono all’impasto di uova, latte, farina e lievito madre alcune forme tradizionali e motivi a croce o a intreccio per guarnire e decorare le uova sode inserite sempre in numero dispari.

Un breve accenno all’uso storico dell’uovo

Se l’uovo è l’elemento principe dalle Cuzzupe calabresi, Alfredo Cattabiani ci ricorda che un tempo la domenica di Pasqua era detta anche Pasqua dell’uovo. Questo perché si usava donare e mangiare uova sode colorate benedette dai preti in chiesa il sabato santo, o dai parroci che si recavano presso le case dei fedeli per la tradizionale benedizione pasquale delle abitazioni.

In effetti, pare che già nel basso medioevo in molti paesi europei tra la popolazione era diffuso il costume di donare uova colorate e benedette. Le famiglie nobili, invece, usavano scambiarsi uova in porcellana, in vetro o addirittura in oro o argento decorate con simboli pasquali.

Uova colorate Pasqua

E ancora, alcune cronache storiche ricordano che nel XVI secolo Francesco I re di Francia ricevette in dono un uovo che conteneva un’incisione in legno raffigurante la Passione. Da qui, forse, l’uso di celare doni in uova di cioccolato donate a Pasqua.

A questo punto è facile pensare che l’uso di donare e mangiare uova sode si sia tramandato nel tempo. Uso diventato dominante in alcune comunità, con la produzione e il consumo rituale di torte o biscotti pasquali, esattamente come le Cuzzupe calabresi.

La ricetta e la preparazione tradizionale delle Cuzzupe calabresi

La ricetta tradizionale delle Cuzzupe calabresi è apparentemente semplice. Si caratterizza per l’impiego di ingredienti per così dire poveri, quelli che caratterizzano anche altri dolci tipici della nostra cucina regionale. E allora…

Ingredienti

  • Farina (1 kg)
  • Zucchero (300 gr)
  • Olio (in alternativa 200 gr di strutto)
  • Uova (4 intere e 2 tuorli)
  • Buccia grattugiata limone
  • Latte (1 bicchiere)
  • Lievito madre (in alternativa una bustina di lievito per dolci)
  • Sale (un pizzico)

Per le guarnizioni

  • Tuorlo d’uovo sbattuto con latte
  • Uova sode
  • Confettini
  • Codette colorate

Preparazione

Per realizzare le Cuzzupe calabresi bisogna prima di tutto cernere la farina con un setaccio e farla cascare su una spianatoia magari di legno. Quindi ricavare al centro un incavo e inserirci il lievito, le uova, lo zucchero, l’olio, la buccia grattata di limone e il latte.

A questo punto è sufficiente amalgamare per bene l’impasto lavorandolo rigorosamente con le mani fino a ottenere un impasto omogeneo piuttosto morbido. Quindi lasciare lievitare.

Intanto è necessario far bollire le uova e preparare un composto di tuorlo d’uovo sbattuto con il latte che sarà spennellato sulle nostre Cuzzupe.

A lievitazione terminata tocca selezionare porzioni d’impasto per realizzare le Cuzzupe calabresi conferendo la forma desiderata. Quindi incastonare le uova e adornarle con motivi a croce o a intreccio, spennellare il composto di tuorlo d’uovo e latte e ricoprire la superficie con confettini e codette colorate.

Terminato il procedimento cuocere in forno a 180 gradi per circa 30 minuti, naturalmente meglio se in un forno a legna.

Leggi anche: Colci tipici della tradizione calabrese: i panicelli di uva passa e cedro

Le Cuzzupe calabresi, una lunga tradizione

Alcuni ritengono si tratti di un dolce con origini arabe, altri smentiscono. In ogni modo ri-cercare e ri-trovare il preciso luogo e il passaggio storico dell’origine delle prime Cuzzupe calabresi non è cosa semplice, ammesso sia importante, ma di certo è affascinante.

E’ affascinante anche perché l’uso di abbellirle biscotti o torte pasquali con uova sode, spesso con gusci dipinti o comunque guarniti con motivi a croce latina o a intreccio, non è un’esclusiva calabrese.

Per esempio…

Per esempio, altrettanto famose sono le Scarcelle pugliesi, o i Pupu cu l’uovu siciliani (cioè pupazzi con l’uovo) che anche qui prendono denominazioni dialettali diverse come Aceddu cu l’ovuPanaredda, Campanaru, Palummedda, Cuddura. E ancora la Corona pasquale del Trentino Alto-Adige o i Cavalli e pupe abruzzesi dove per le bambine i dolcetti donati raffigurano una ragazza mentre per i maschi il cavalluccio. Insomma, tutti dolci pasquali decorati con uova sode.

In ogni modo, e in questa pluralità, pare non sia cosa semplice restituire il luogo e la data di nascita delle prime Cuzzupe calabresi, se non dopo uno sforzo d’immaginazione. Quello sforzo d’immaginazione che ci permette, anche, di visualizzare per la prima volta un’immagine romantica con donne impegnate a sperimentare e riadattare ricette identiche e mutevoli.

Però, forse, è molto più semplice sperimentare quel gusto fatto non solo di odori e sapori ma anche di qualcos’altro, e alleandoci con quelle comunità dove le vere Cuzzupe calabresi sono ancora oggi sapienti elementi di una cultura subalterna, anzi dominante.

A presto, Sergio.

Ps: la foto è tratta da Google immagini


Ciao
, sono Sergio Straface e sono un Antropologo. Mi occupo di ricerca etnografica e lavoro nel Marketing e nel Management dei Beni Culturali e del Territorio. Qui scrivo di tradizioni popolari e folklore – ricette e food – religiosità popolare – reportage – comunità storico-linguistiche calabresi – abbazie, chiese, conventi e santuari… insomma tutto quello che ha a che fare con l’universo etno-antropologico soprattutto in Calabria. 
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8 commenti
    • Sergio
      Sergio dice:

      Grazie Pierluigi,
      troppo generoso. Le nostre Cuzzupe necessitano di attenzioni esclusive.
      A presto, Sergio

      Rispondi
  1. Antonietta
    Antonietta dice:

    Bellissimo articolo, come sempre Sergio ci fai partecipe di nuovi particolari e nuove notizie ,su argomenti che pur essendo della nostra terra ,non conosciamo fino in fondo.

    Rispondi
    • Sergio
      Sergio dice:

      Grazie Antonietta,
      le nostre tradizioni esercitano un certo fascino e andare in fondo tentando di cogliere alcuni dettagli intimi è per me ancora più affascinante.
      Grazie ancora e a presto,
      Sergio

      Rispondi
    • Sergio
      Sergio dice:

      Grazie Raffaella, sempre attenta e generosa. Diciamo che le nostre tradizioni sono troppo interessanti e ci fanno divertire, specie se guardate con occhi nuovi e diversi.
      A presto,
      Sergio

      Rispondi
  2. Angela
    Angela dice:

    Io le faccio tutti gli anni per donarle a parenti e amici. Le più belle le dono al mio compagno e a mio figlio. Mi piacerebbe farle il giovedì santo, perché cosi mi è stato insegnato, ma la frenesia della mia vita mi impone si farle il sabato e poi mi devo scapicollare per consegnarle. E’ obbligo mangiarle la domenica di Pasqua a colazione!

    Rispondi

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