Gelati! La vecchia tradizione dei fichi d’india a Catanzaro

I fichi d’india, a Catanzaro un tempo chiamati Gelati, venivano serviti e consumati dai cittadini presso i Pagghiari o per le strade da venditori ambulanti che giravano per le vie della città con due secchi, uno con fichi d’india e l’altro con ghiaccio, e gridavano Gelati

4 Minuti di lettura

L’insolita introduzione

Durante le caldi notti dell’estate romana, a fine cena, capita di andare a fare il giro dei cocomerari. I Cocomerari sarebbero i venditori ambulanti di anguria che dal loro furgoncino tagliano una fetta di anguria. Ovviamente fresca e con una spruzzatina di limone, da consumare comodamente seduti.

Ora, cosa centreranno le angurie con i fighi d’india? Se a Roma ancora oggi è possibile rinfrescarsi con una fetta di anguria a Catanzaro, fino a pochi decenni fa, era possibile farlo con i fichi d’india. Qui un tempo chiamati Gelati.

E allora Catanzaro, l’attuale capoluogo della Regione Calabria e storico capoluogo dell’antica provincia di Calabria Ultra, nel territorio conosciuto anche come Costa degli aranci. E ancora, Catanzaro è una città che si affaccia sul golfo di Squillace. Città dei tre colli, dei due mari, delle tre V. Catanzaro, inoltre, è una città particolarmente bella, ricca di contraddizioni e, anche, una città di antiche e vecchie tradizioni, come la Naca per esempio.

La vecchia tradizione dei fichi d’india a Catanzaro

Una delle tante tradizioni di Catanzaro era il consumo dei fichi d’india serviti e consumati dai cittadini presso i Pagghiari o da venditori ambulanti che giravano per le vie della città con due secchi, uno con fichi d’india e l’altro con ghiaccio. Gridavano Gelati, esattamente come la canzone di Lucio Battisti.

In città persiste il ricordo di un vecchio contadino che fino alla seconda metà del 1800 passava gridando gelati. Vendeva i suoi fichi d’india mantenuti freddi dal ghiaccio prelevato a Villa Pangea, Qui c’era la Ghiacciaia, un imponente serbatoio interrato a Villa Pangea dedicato alla conservazione del ghiaccio destinato ai consumi di diversi comuni calabresi.

Per esempio, Enzo Zimatore (Catanzaro 1908-1991) noto avvocato e cultore di storia calabrese e della sua città nel suo Catanzaro: vicoli, piazze e contrade ricorda u Canceddu ‘e Bellavista dove, in autunno, veniva eretto il Pagghiaru di Catanzaru, una capanna di frasche e tavole dove si consumavano i fichi d’india.

Via Bellavista Catanzaro

Via Bellavista a Catanzaro

E ancora

Anche Kazimera Alberti, nel suo L’anima della Calabria (un autentico capolavoro della letteratura di viaggio nella tradizione del Grand Tour) ricorda che la natura calabrese sorprende ogni momento per la sua bellezza. Fichi d’india, melograni, gerani, oleandri, margherite, l’acqua delle sorgenti minerali. E poi l’abbondanza delle acque sussurra ad ogni passo (…) fruscia, gorgoglia, protetta dai fichi d’india e dai melograni.

In realtà furono tanti i viaggiatori e gli studiosi che passando da Catanzaro osservarono il grande consumo di fichi d’india come Cesare Lombroso, o François Lenormant e George Gissing. Tutti letteralmente imbarazzati da un mercato colorato e ricco di tutti gli alimenti e con molti fichi d’india e pomodori la cui abbondanza e il prezzo a buon mercato rendevano difficile portare a casa tutta quella roba.

Giovanni Sinatora, poeta e commediografo nato a Borgia nel 1877 e trasferitosi a Catanzaro negli anni ’90 nella sua brillante poesia Catanzaru ricorda che sono tre le cose capitali che fanno bella Catanzaro. La villetta. Il Morzeddhu. Il fico d’india

Leggi anche: Il curioso caso della pizza Carmelitana del quartiere Gagliano di Catanzaro

Catanzaro e i fichi d’india oggi

Se le cronache cittadine raccontano di quel vecchio contadino che, più o meno fino alla seconda metà del 1800, passava gridando gelati, io stesso ho un ricordo similare che risale a qualche decennio fa. Appartengo a una generazione che ha avuto la fortuna di praticare e vivere ancora qualche vecchia tradizione.

Vedo ancora quell’immagine che mi riporta al ricordo di un uomo con la pelle bruciata dal sole. Portava un secchio colmo di fichi d’india e quando passava anche lui gridava Gelati, noi ancora piccoli ovviamente rispondevamo in coro Gelati.

Si sa, le cose vanno e vengo, così come alcune vecchie tradizioni (o costumi) decadono dall’uso comune e nuove abitudini s’impongono, niente di male. Così come non c’è niente di male immaginare di recarsi ancora a Bellavista (o in qualsiasi altro angolo della città di Catanzaro) e trovare u Pagghiaru. La capanna di frasche e tavole dove consumare i fichi d’india, ops i Gelati. Chissà, magari un giorno…

A presto, Sergio.

Ps: le foto sono tratte da Google Immagini


Ciao
, sono Sergio Straface e sono un Antropologo. Mi occupo di ricerca etnografica e lavoro nel Marketing e nel Management dei Beni Culturali e del Territorio. Qui scrivo di tradizioni popolari e folklore – ricette e food – religiosità popolare – reportage – comunità storico-linguistiche calabresi – abbazie, chiese, conventi e santuari… insomma tutto quello che ha a che fare con l’universo etno-antropologico soprattutto in Calabria. 
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2 commenti
  1. Salvatore
    Salvatore dice:

    Grazie per questo bel viaggio nei ricordi: ho 63 anni, da tanto tempo lontano da Catanzaro ma … ha ragione, è proprio come dice lei. Ricordo perfettamente quella voce: “GELATI, GELATI” e quei fichi d’india che non avevano nulla di diverso da quelli che raccoglievo io … però erano col ghiaccio e ben sbucciati!

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    • Sergio
      Sergio dice:

      Gentile Salvatore,
      grazie per il commento, ma prima ancora grazie per aver letto l’articolo e magari anche condiviso. Mi fa molto piacere averle rispolverato un piacevole ricordo e chissà, magari un giorno risentirà quella voce. Magari.
      A presto, Sergio.

      Rispondi

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