Gli gnocchi fatti in casa: lo gnoccoscapes…

Gli gnocchi fatti in casa la domenica mattina, quelli fatti dalla mamma… lo gnoccoscapes come sintesi panoramica che alimenta quel ricordo.

5 Minuti di lettura

La solita premessa

L’etnografo e antropologo francese Marc Augé, in un suo sorprendente libro, ci parla di etnofiction. Cioè una narrazione che evoca una realtà sociale osservata attraverso la soggettività di un singolo individuo, e questo anche perché è bello e divertente produrre nuove narrazioni.

Nuove narrazioni dove scrittore e lettore sono connessi da qualcosa di misterioso e profondo. E dove, per proseguire il pensiero dell’etnografo e antropologo francese, descrivere una situazione individuale e una soggettività particolare, lasciando al lettore il compito d’immaginare la totalità sociale che essa esprime. Diciamo un ribaltamento del metodo antropologico classico.

Gli gnocchi fatti in casa

E allora un’etnofiction sugli gnocchi fatti in casa. Così quel bambino in foto ero e sono io e quella domenica ridevo, e di gusto. Ero felice, ero divertito e anche completamente bianco, bianco di farina. Anche perché a quei tempi, a casa mia, la domenica mattina era tradizione fare gli gnocchi, gli gnocchi fatti in casa.

Nel parlare degli gnocchi fatti in casa viene voglia di fare un’analisi socio-antropologica di cultura alimentare. Addirittura viene voglia di fare un trattato sulla storia dello gnocco per sottilizzare, anche, sulla pressione da esercitare sulla forchetta per ottenere la classica rigatura degli gnocchi.

Però, e prima ancora, è bello parlare dello gnoccoscapes, e questo perché ogni scolaretto lo sa, la cucina può rivelare le strutture fondamentali del pensiero umano. Così come ogni scolaretto conosce la lezione di Marvin Harris:

 …le diete riscontrabili nelle diverse culture e nelle diverse parti del mondo sono il frutto di aggiustamenti progressivi negli alimenti consumati dagli individui sulla base di scelte di ottimizzazione in termini di costi-benefici. (Marvin Harris)

Bene, la lezione di Marvin Harris la dice lunga sul nostro immaginare, anche solo per un attimo, un supermercato dove comprare una busta di gnocchi già preparati, magari quelli della nostra marca preferita o quelli che noi pensiamo siano della nostra marca preferita, mentre l’acqua bolle già in pentola. E’ esattamente quello che oggi spesso accade.

Insomma, e per farla breve, le analisi socio-antropologiche di cultura dell’alimentazione sono roba affascinante, da sapere e su cui riflettere. E questo perché lo gnocco oltre ad essere buono da mangiare è anche buono da pensare.

Verso un paesaggio alimentare

La foto in alto è un originale antenato dei contemporanei foodscapes o ciborami. E’ una foto vintage dei primi anni ’80, un esclusivo reperto di antropologia della felicità. Un paesaggio culturale fatto anche di cibo ancora da mangiare e buono da pensare, da immaginare e poi da ri-pensare e ri-gustare.

Un inciso, mi capita spesso di riscoprirmi attratto dal culturale legato, per esempio, alla tradizione alimentare. Mi attraggono agli aspetti rituali delle pratiche alimentari, così come la varietà e la complessità dei riti collegati. E ancora, le dinamiche culturali e tradizionali connesse alla produzione, alla preparazione e al consumo del cibo.

Addirittura mi capita di ritrovarmi ad osservare le specifiche pratiche legate alla commensalità, come si definiscono e si rafforzano i legami e le relazioni sociali del gruppo familiare, e anche di potere.

In ogni modo ho la sensazione che quando ci sediamo a tavola il cibo suggerisca come dimenticare tutto questo.

Foodscapes, o ciborami

Un’altro inciso, l’Antropologo Statunitense di origine Indiana Arjun Appadurai, nel suo libro Modernità in polvere, scelse l’utilizzo di termini con suffisso scape (tradotto in italiano con orama) per assegnare quella necessaria dimensione prospettica ai flussi globali. Costrutti prospettici che comunque sono declinati da contingenze storiche, linguistiche e politiche.

E allora, pare proprio che oggi, e forse anche domani, l’immaginazione non sia individuale, non riguarda i singoli individui. L’immaginazione è un fatto collettivo. In altri termini tutti noi facciamo uso dell’immaginazione nella pratica della vita quotidiana.

Penso proprio che la nostra immaginazione riesca a contaminare quella dell’altro, e nel contempo ne risulta contaminata, e non c’è soluzione in questo sistema. O meglio la soluzione è la sua dimensione circolare e ricorsiva.

Un’immaginazione costruita su ricordi, magari d’infanzia, e alimentata da desideri, magari generati da un pensiero creativo e assieme critico. Insomma, ognuno di noi ha il proprio e intimo foodscapes e il mio è uno gnoccoscapes.

E allora… lo gnoccoscapes

L’immaginazione è oggi una palestra per l’azione, e non solo per la fuga (Piero Vereni).

E allora il mio gnoccoscapes, l’immagine in alto, è quel paesaggio fatto di gnocchi, di gnocchi fatti in casa, un paesaggio gnocco. Un panorama che alimenta flussi prospettici alla mia immaginazione e, volendo, possiamo anche sostituire gnoccoscapes con lasagnascapes, pizzascapes, piadinascapes, lestopittascapesSuonano tutti bene.

Sono tutti scapes buoni da pensare, da immaginare, e poi anche da ri-mangiare per alimentare un’immaginazione fatta di ricordi, di emozioni, di passioni, di sensazioni, di sapori. Il sapore del primo scapes, magari fatto dalla mamma o dalla nonna, che si traduce in esclusivo termine di paragone.

Scapes capaci di azionare i ricordi, l’immaginazione. Non è semplice amarcord o romanticismo, è qualcosa di più… il termine di paragone, quella palestra per l’azione.

La ricetta dello gnoccoscapes

Ingredienti

  • Patate
  • Farina
  • Uova
  • Sale

Procedimento

Lo gnoccoscapes mi fa ricordare che la preparazione degli gnocchi fatti in casa da mia madre era piuttosto semplice, e soprattutto troppo divertente.

Alle 11.00 circa del mattino, la domenica ovviamente, mia madre immergeva le patate in una pentola con acqua già portata in ebollizione (immagino ci mettesse anche un pizzico di sale). Dopo circa 15 o 20 minuti scolava le patate per lasciarle raffreddare magari sotto un getto d’acqua fredda.

A questo punto entravo in gioco io: pulivo le patate dalla buccia per poi schiacciarle, cioè frantumavo le patate con il passatutto. Intanto mia madre aveva già creato una montagnetta di farina, farina rigorosamente cernita con un antico setaccio sulla spianatoia di legno, e al centro metteva un uovo.

Quindi, aggiungendo le patate ormai frantumate, mescolava tutti gli ingredienti per qualche minuto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Mentre io guardavo, l’impasto era diventato una specie di salsicciotto liscio e panciuto.

Allora lei con un coltello tagliava alcune strisce di pasta per ricavarne altre più sottili, piuttosto lunghe e poco spesse, arrotolando la pasta con entrambe le mani sulla spianatoia e imprimendo una leggera pressione. Così, sempre con lo stesso coltello, dalla pasta arrotolata tagliava piccoli pezzi di circa 2 centimetri.

Intanto (non si sa come) io ero già completamente infarinato. Infine passavamo i pezzetti di pasta facendoli scivolare sulle punte di una forchetta esercitando una lieve pressione con il dito indice per conferire allo gnocco la tipica rigatura. Insomma, gli gnocchi fatti in casa mi sembravano molto semplici da fare.

Leggi anche: Un giorno in barca: pesca su paranza

Il B side dello gnoccoscapes

In ogni storia esiste qualcosa di non detto, il lato B, quello che non si vede, e anche nello gnoccoscapes esiste un lato B, e non si vede anche perché purtroppo la fotografia non si può girare. Ma io lo ricordo proprio come se fosse ieri.

E allora in genere, prima di bollire gli gnocchi, è consigliato lasciarli riposare per almeno 20 minuti in modo che diventino sodi e compatti. Così mia madre li sistemava sul tavolo coperti da una tovaglia e di seguito chiudeva la porta della cucina.

Il  B side dello gnoccoscapes, dei miei gnocchi fatti in casa, è che entravo di nascosto in cucina. Entravo per assaggiare gli gnocchi, ci entravo più di una volta quasi dimezzandoli e, a pensarci bene, forse per questo ridevo nella foto vintage in alto, sapevo già cosa avrei fatto dopo. L’idea era buona e divertente soprattutto da pensare.

Sarà perché la farina era setacciata, sarà perché mia madre usava l’uovo fresco, sarà perché mio padre comprava le Patate della Sila, sarà, ma quegli gnocchi fatti in casa da me e mia madre, prima di farli, erano già troppo buoni da mangiare.

A presto, Sergio.

Ps: quella domenica la ricetta era gnocchi conditi con sugo con puntine di maiale, uno spasso, e sento ancora il sapore!


Ciao
, sono Sergio Straface e sono un Antropologo. Mi occupo di ricerca etnografica e lavoro nel Marketing e nel Management dei Beni Culturali e del Territorio. Qui scrivo di tradizioni popolari e folklore – ricette e food – religiosità popolare – reportage – comunità storico-linguistiche calabresi – abbazie, chiese, conventi e santuari… insomma tutto quello che ha a che fare con l’universo etno-antropologico soprattutto in Calabria. 
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4 commenti
  1. Floriano
    Floriano dice:

    Articolo pieno di ricordi e belle considerazioni generali. Quanto dici riflette anche quello che provavo io da bambino e ora lo provo con un triplice sentimento: di gratitudine, di rimpianto, di consapevolezza.

    Rispondi
    • Sergio
      Sergio dice:

      Grazie Floriano, fa piacere ti sia piaciuto lo gnoccoscapes. Infatti è un articolo particolare, diciamo che mi sono divertito a ri-costruire un mio caro ricordo per un’antropologia della memoria.
      A presto, Sergio

      Rispondi
  2. Teresa
    Teresa dice:

    Re-immaginando la nostra infanzia raccontiamo noi stessi. I cibi tradizionali parlano con il linguaggio dell’amore, sono luoghi della memoria. Il cibo offre ospitalità, le emozioni suscitano i profumi e i sapori sono legati a un tempo che è dentro di noi.

    Rispondi
    • Sergio
      Sergio dice:

      Vero Teresa, tempo e luoghi della memoria sono spesso dentro di noi. Niente da aggiungere al tuo commento.
      Grazie e a presto,
      Sergio

      Rispondi

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