La tonnara di Bivona in Calabria e la pesca tradizionale del tonno

La tonnara di Bivona in Calabria e la pesca tradizionale del tonno

La tonnara di Bivona è un esclusivo esempio di archeologia industriale, fino alla metà del secolo scorso un luogo dove le giornate erano scandite dal ritmo dei lavori per la pesca tradizionale del tonno…

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Leva… la tunnara cu abbundanza, assumunu li tunni, cumingia la mattanza.

Le premesse sono importanti

Ci sono storie che hanno fatto la storia, storie che misteriosamente sono fuori dalla storia. Sono storie camuffate, mimetizzate, occultate in un territorio che ha fatto la storia, ma di queste storie poco si sa.

Sono storie che raccontano una Calabria altra, un’alterità che rischia di sfuggire di mano per sovvertire preconcetti che posizionano questa terra fuori dalla storia, e anche dalla contemporaneità. Storie che ci svelano il perché, e anche il come, di alcune storiche e assieme contemporanee eccellenze calabresi. Come quella della pesca e della lavorazione del tonno.

E allora…

E allora, in questa storia altra, in quest’altra Calabria, le tonnare nascono nel corso del XVI e XVII secolo. Esattamente nel periodo in cui una classe nobiliare decide di diversificare la fonte dei propri guadagni. Fonte di guadagni naturalmente legata essenzialmente alla produzione agricola.

Modello, e organizzazione, che nella sua dimensione tradizionale rimase invariato fino alla seconda metà del 1900. Quando s’impose il processo di conversione di attività artigianali in industrie di trasformazione del pescato. E’ il momento della riorganizzazione del sistema di conservazione del tonno con l’olio, la pastorizzazione e l’inscatolamento in recipienti di latta.

In altri termini nascono gli stabilimenti che tutti noi oggi dovremmo conoscere, con prodotti che di certo mangiamo, anche perché strano a dirlo, e soprattutto a pensarlo, le industrie nascono anche al sud. Alcune addirittura hanno anticipato quelle del nord. Vedi pure, per esempio, le reali ferriere e officine borboniche di Mongiana per la lavorazione dell’acciaio.

Un’altra premessa

Come sostiene l’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani, i saperi e le pratiche ergologiche sono inscindibili dai miti, dalle credenze e dai riti. E questo non è vero, è verissimo, verità che vale anche per le comunità marinare.

E’ verissimo perché la vita dei pescatori, così come le vicende legate alla storia e alle tradizioni di queste comunità, è permeata da una profonda religiosità. Da un insieme di prescrizioni, di regole e di comportamenti che, come continua a sostenere Luigi Maria Lombardi Satriani, trovano ragione nella sfera del sacro.

Anche perché i rischi connessi all’andar per mare, la necessità di sacrificare gli esseri viventi che lo popolano e di garantire i loro cicli riproduttivi per sostenere la propria esistenza, hanno alimentato un immaginario mitico-cultuale e rituale. Nonché esclusive tecniche che riferiscono una cultura materiale e immateriale sapiente e assieme misteriosa. Esattamente com’è avvenuto con la tonnara di Bivona in provincia di Vibo Valentia, nella zona conosciuta anche come Costa degli Dei.

Un inciso: le tonnare in Calabria

In generale per tonnara s’intende l’insieme di reti impiegate per la pesca del tonno rosso e, di conseguenza, il luogo in cui si usa nella pratica con la mattanza. In Calabria le tonnare identificavano l’insieme di strutture e attrezzature a terra e a mare che caratterizzavano l’attività della pesca del tonno e della sua lavorazione. Strutture che si distinguevano in tonnara di terra (cioè l’area sull’arenile) e tonnara di mare (il complesso di reti e strumenti che creavano la trappola nel mare per i tonni).

Un inciso nell’inciso, in quel tempo, quindi nel corso del XVI e XVII secolo, le tonnare venivano installate con rito ufficiale, detto diritto di palo. Cioè era concesso ai feudatari il privilegio, più o meno perpetuo, di scegliere il posto propizio dove far sorgere la propria tonnara.

Privilegio revocato a seguito dell’unità d’Italia per essere sostituito con leggi che riconoscevano concessioni a tempo determinato. Leggi che disciplinarono principalmente le distanze da osservare tra le tonnare limitrofe. Concessione definita diritto di calo, mantenuta anche calando la tonnara in periodi meno pescosi.

E allora, si procedeva con la costruzione della tonnara di terra, detta anche malfaraggio. Una struttura che comprendeva diverse stanze tra cui cucina, alloggi, una cappella, il fundaco e una loggia. Ma prima ancora, la pesca del tonno…

La pesca del tonno

Già nel I° e II° secolo nel Golfo di Sant’Eufemia si praticava la pesca del tonno con particolari imbarcazioni costruite con una forma a loro immagine. Un’antica pratica imitativa che ricordava una superstizione basata sull’imitazione della forma della preda.

E in quest’epoca mitica pare che la tecnica di pesca del tonno era a inseguimento, praticata fino al XV secolo quando fu sostituita da quella a trappola fissa con la successiva mattanza. Tecnica di pesca, la mattanza, praticata nella costa calabrese e siciliana fino agli anni sessanta per essere sostituita da nuove tecniche.

In ogni modo, le diverse tonnare lungo le coste tirreniche calabresi ricordano la pesca tradizionale al tonno. Tonnare come testimoni di una storia altra, esattamente come la tonnara di Bivona. Esclusivo esempio di archeologia industriale legata alla pesca tradizionale del tonno, e anche qualcos’altro.

La tonnara di Bivona

La tonnara di Bivona, costruita nel 1881, è oggi un esclusivo esempio di archeologia industriale legato alla pesca tradizionale del tonno, restaurato con allestimenti idonei ad accogliere curiosi e visitatori. Fino alla prima metà del secolo scorso, però, era un luogo di lavoro, un insediamento più o meno simile alle altre tonnare calabresi.

Tonnara di Bivona

Qui le giornate erano scandite dal ritmo dei lavori per la pesca tradizionale del tonno e della sua lavorazione, con un insieme di prescrizioni, di regole, di comportamenti, e anche di una profonda religiosità.

E allora, come le altre tonnare, anche la tonnara di Bivona era ed è una struttura di due piani con diverse stanze tra cui cucina, alloggi dei loggiari e dormitori per i pescatori, il fundaco (deposito delle salagioni). E ancora, altri depositi con utensili per il rimessaggio dei grossi braconi, delle reti, della pesatura e del lavaggio del pescato. L’abitazione per la famiglia del rais (il capitano della tonnara), una loggia e naturalmente una cappella.

E ancora, nei primi anni del 1900 fu costruito anche un binario per facilitare il trasporto delle barche e dei tonni diventando, di fatto, una delle tonnare più funzionali in quegli anni in Calabria.

Alcune scene di vita della tonnara di Bivona

Bene, le giornate nella tonnara di Bivona erano scandite dal ritmo dei lavori per la pesca tradizionale del tonno, della sua lavorazione e vendita. La gestione del lavoro, invece, si caratterizzava da un insieme di prescrizioni, di regole, di comportamenti, di una profonda religiosità e soprattutto, dalla suddivisione del lavoro maschile e quello femminile.

E allora, per tentare di immaginare alcune scene di vita della tonnara di Bivona, dobbiamo immaginare l’inimmaginabile perché in tutto questo le donne avevano un ruolo determinante. Così, procedendo nell’immaginazione, il lavoro di preparazione della trappola si svolgeva nella tonnara di terra da dicembre ad aprile, e precisamente all’interno della loggia.

Era precisamente all’interno della loggia che le donne svolgevano il loro ruolo di tessitrici. Tessitrici detentrici del divenire, per riparare o preparare le reti a maglia fine utilizzate nella camera della morte della trappola dei tonni. E si tratta di un piccolo capolavoro di ingegneria tessile popolare, naturalmente esposto nella tonnara di Bivona.

In questa scena di vita, durante il periodo di ferma, gli uomini facevano i lavori di riparazione e calafatura delle barche. E ancora, si dedicavano alla manutenzione dei grandi argani di legno e delle carrucole poste sui barconi, preparavano i galleggianti e il cordame.  E, infine, sistemavano sulla spiaggia le ancore usate per ancorare al fondo la tonnara di mare.

Leggi anche: Il Campo di Concentramento di Ferramonti a Tarsia, in provincia di Cosenza

Un’altra scena…

Terminato il sapiente lavoro femminile di tessitura, giungevano nella tonnara i sacerdoti di Pizzo. Dopo aver preparato l’acqua santa nella cappella, impartivano benedizioni alle reti, alle barche, ai pescatori e al mare invocando gli apostoli per propiziare una pesca copiosa.

Un inciso, Sant’Antonio di Padova è il protettore delle donne incinte, culto che suggerisce l’identificazione del mare nella rete della tonnara con la fertilità del ventre materno. E non è una coincidenza che la cappella della tonnara di Bivona fosse dedicata a Sant’Antonio di Padova, esattamente come le cappelle delle altre tonnare. E ancora, i primi 13 giorni di giugno coincidevano con la tredicina i Sant’Antoni. Erano giorni dedicati ai festeggiamenti solenni in onore del Santo, giorni che tra l’altro coincidevano con il periodo più pescoso.

La pesca…

Continuando con la scena, gli uomini calavano la rete, nel mese di maggio, trappola dei tonni che raggiungeva l’estensione anche di 10.000 metri quadrati. Era lo ‘ncruciari la tonnara, cioè scegliere il punto esatto della sua collocazione a mare, decidendo così la posizione della calata per lasciarla fino al mese di agosto o di settembre. Periodo in cui svolgeva la pesca tradizionale al tonno con la mattanza.

Così, quando i tonni entravano nella camera della morte i marinai, dopo avere preso il loro posto sui barconi, all’ordine del rais alzavano la rete dando inizio alla mattanza. Cioè bastonavano e uncinavano i tonni tirandoli a forza di braccia sulle imbarcazioni. Era ‘a levata.

I tonni così levati sui barconi venivano quindi trasportati a riva. Qui avveniva il lavoro di squartamento, di dissanguamento, di lavaggio e di sezionamento. Nonché la successiva vendita perché del tonno, così come del maiale, non si butta via nulla!

A presto, Sergio.

Ps: per approfondire si consiglia la lettura Le tonnare di Bivona. I resti di una cultura del Mare di Antonio Montesanti. Le immagini sono tratte da google immagini.


Ciao
, sono Sergio Straface e sono un Antropologo. Mi occupo di ricerca etnografica e lavoro nel Marketing e nel Management dei Beni Culturali e del Territorio. Qui scrivo di tradizioni popolari e folklore – ricette e food – religiosità popolare – reportage – comunità storico-linguistiche calabresi – abbazie, chiese, conventi e santuari… insomma tutto quello che ha a che fare con l’universo etno-antropologico soprattutto in Calabria. 
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