Prodotti tipici della Calabria_il Caciocavallo di Ciminà

Prodotti tipici della Calabria: il Caciocavallo di Ciminà

Il Caciocavallo di Ciminà è un formaggio, semi stagionato e stagionato, ottenuto dal latte di mucche al pascolo con lavorazione a pasta filata e lievitazione naturale…

5 Minuti di lettura

Mangia chiddu chi boi, ma lassa a vucca a casu!

Tipicità…

Le tipicità in campo alimentare testimoniano, tra le altre cose, la ricchezza dei sapori e dei saperi locali. Sono tipicità, con tecniche di produzione e consumi rituali, che tracciano confini etnici, che fungono da marcatori geografici e culturali. Geotag che connettono tradizioni, mestieri e biodiversità ai loro luoghi, e che fanno del cibo un patrimonio locale da conoscere e frequentare.

E allora, conoscere e frequentare un patrimonio gastronomico locale significa, anche, allestire le condizioni per restituire al palato quelle conoscenze basiche capaci di predisporlo a nuovi sentori. Sentori che esaltano il gusto e che raccontano storie da ricordare e raccontare per un’esperienza altra. Storie di resistenza all’omologazione alimentare e alla perdita della diversità culinaria. Esattamente come nel caso del Caciocavallo di Ciminà.

Una storia da ricordare e raccontare

Per raccontare la storia del Caciocavallo di Ciminà, e quindi iniziare a ricordarla per poi di nuovo raccontarla, dobbiamo sapere che si tratta di un formaggio tipico a pasta filata ottenuto dal latte di mucche al pascolo. Mucche che, mangiando sull’area collinare e montana di quest’area della Calabria, e quindi cibandosi di erbe spontanee, per lo più graminacee, producono un latte dal sapore unico. E l’unicità della biodiversità di questi luoghi supera la rarità, quindi, in principio era il latte, e prima ancora era la Magna Grecia.

Prima ancora la Magna Grecia anche perché l’arte di lavorare il formaggio a pasta filata fu, in origine appunto, praticata dai pastori dell’antica Magna Grecia, con la tecnica di strappo o taglio fatta con l’indice e il pollice della mano per conferire la giusta forma al prodotto. Tecnica tramandata pressoché immutata fino ai giorni nostri.

E ancora, Ciminà è un piccolo borgo di poco meno 600 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. E, sicché di unicità stiamo parlando, il caciocavallo, o qualcosa di molto simile, qui si iniziò a produrre almeno dai tempi della Magna Grecia, cioè a partire dall’VIII secolo a.C.

Non è un caso che il nome Ciminà derivi dal greco kyminà, ovvero luogo dove abbonda il cumino selvatico o ciminaia. Non è un caso che Ciminà si trovi nel comprensorio di Locri, antica Locri Epizefiri tra le più importanti e influenti colonie magnogreche. E non è un caso che Ciminà si trovi nei pressi dell’area ellenofona calabrese conosciuta come Bovesìa, o area grecanica.

Un curiosità storica del Caciocavallo di Ciminà

Così, in quel tempo, mentre Pitagora fondava a Crotone una delle più prestigiose scuole di pensiero dell’umanità, facendo prestare giuramento ai suoi discepoli sulla tetraktys, i pastori della Magna Grecia importarono, affinarono e praticarono nel sud Italia e in Calabria antiche pratiche. Come quella di filare la pasta per realizzare il formaggio, e sulla filatura in generale ci sarebbe tanto da dire.

Solo qui però, cioè a Ciminà, s’iniziarono a produrre caciocavalli a due teste. Infatti, se siamo abituati a pensare alla forma classica del caciocavallo, cioè a una testa con corpo piuttosto panciuto, la forma tradizionale del Caciocavallo di Ciminà è, oltre a quella classica, anche a due teste. Piuttosto piccolo e allungato e il motivo è per facilitarne il trasporto ai vicini mercati.

Caciocavallo di Ciminà a due teste

Si tratta di un caso unico nel panorama caseario nazionale e internazionale, oltre ad essere evidentemente bello, e c’è da dire che l’idea del bello collegato all’utile si sviluppa nel medioevo. In realtà, sin dal medioevo abbondano ricettari con l’impiego di formaggio, sia per piatti salati sia in quelli dolci. E pare che il formaggio fosse più vicino al gusto popolare che a quello aristocratico per, in epoca moderna, conquistare tutti.

Anche in questo caso la storia si ripete.

Il caciocavallo di Ciminà

E allora, formaggio deriva dal latino formaticum, e questo da formàre, cioè dar forma, perché gli si da una forma speciale o perché fatto nelle forme. In effetti, phormòs era la cesta o forma nella quale si deponeva il latte per lasciarlo coagulare.

Insomma, formaggio sta per cacio messo in forma e si chiamava prima cascio, poi cacio e in diverse forme dialettali calabresi casu. Perché da noi a vucca si lassa a casu.

Già sappiamo che quello di lasciare la bocca a formaggio era un costume magnogreco. Anche perché il Caciocavallo di Ciminà, o qualcosa di molto simile, a Ciminà si produce almeno dai quei tempi e con una tecnica tramandata da generazione in generazione fino agli attuali produttori. E sappiamo anche che il Caciocavallo di Ciminà è un formaggio, semi stagionato e stagionato, di latte di vacca crudo, ottenuto con lavorazione a pasta filata e lievitazione naturale.

Così, i produttori di Ciminà, allevano vacche podoliche, brune, pezzate rosse e meticce che pascolano libere mangiando preferibilmente sull’area collinare e montana. Vacche che si cibano di erbe spontanee di questa zona, erbe che conferiscono al latte profumi, sapori e colore unici.

La produzione del Caciocavallo di Ciminà

Il latte di mucca munto si lascia coagulare a 40 gradi con caglio naturale di capretto, è possibile impiegare latte di mucca con l’aggiunta del 10% circa di latte di capra o pecora. A questo punto, rompendo la cagliata, si formano coaguli più o meno piccoli che si raccolgono in una cesta lasciando fuoriuscire il siero e viene lasciato lievitare o fermentare per 24 o 48 ore in base al clima.

Così facendo la pasta di formaggio è pronta per la lavorazione, cioè la filatura in acqua a 90 gradi circa aiutandosi con un cucchiaio di legno. Quindi, con la tecnica a strappo o taglio fatta con l’indice e il pollice della mano, si realizzano le forme di Caciocavallo che di seguito saranno immerse in acqua salata per la salamoia. Durata di salamoia che differisce in base al peso delle forme.

Il procedimento termina appendendo le forme di Caciocavallo ad asciugare e quindi stagionare sulle pertiche. Cioè bastoni di legno appesi al soffitto con una stagionatura che varia dalla pezzatura, per essere venduti in base alle richieste del mercato.

Caciocavallo di Ciminà

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Per concludere…

Per concludere, le pezzature di Caciocavallo più piccole, quelle a due teste per intenderci ma anche quelle dalla forma classica, possono essere degustate anche fresche, cioè entro pochi giorni dalla loro lavorazione. Le forme più grandi, invece, possono stagionare anche per diversi mesi, fino ad arrivare anche a un anno.

Grazie alla lunga stagionatura il Caciocavallo di Ciminà acquista sapori intensi, con i profumi tipici dell’area aspromontana. Così il sapore diventa più forte e pungente al palato, da consumare preferibilmente con pere, fichi, marmellate, confetture e, soprattutto, mangia chiddu chi boi, ma lassa a vucca a casu.

A presto, Sergio.

Ps: alcune immagini sono tratte da Google immagini.


Ciao
, sono Sergio Straface e sono un Antropologo. Mi occupo di ricerca etnografica e lavoro nel Marketing e nel Management dei Beni Culturali e del Territorio. Qui scrivo di tradizioni popolari e folklore – ricette e food – religiosità popolare – reportage – comunità storico-linguistiche calabresi – abbazie, chiese, conventi e santuari… insomma tutto quello che ha a che fare con l’universo etno-antropologico soprattutto in Calabria. 
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